Foglie al vento – L’Amore vero

Immagini tratte da:
Foglie al vento (2023)
Sceneggiatura Aki Kaurismäki
Regia Aki Kaurismäki
Distr. ITA Lucky Red

Come riconoscere un amore vero, da uno falso? E quindi da qualcosa che amore non è. Come distinguere l’amore vero da tutto il resto? Foglie al vento ci dà una bella dritta. Si, perché… tutto il resto è soltanto una insensata questione di uova. Per citare la battuta finale di Io e Annie di Woody Allen.

Lo straniamento che ci offre Aki Kaurismäki ci stana da tanti ipocrisie e ci consegna un metro, un metro importante, di come riconoscere un amore autentico da tutto quello che non è amore e quindi non è autentico. Per poterlo fare però ci deve, come detto, straniare. Ci deve, cioè, spogliare di tanti orpelli e lo fa magnificamente. Ma qual è il metro di giudizio che ci consegna?

Quanti di voi ricordano in A Corus line (1985) – dal musical del 1975 – la canzone Nothing, cantanta da Yamil Borges nella parte di Morales.

Yamil Borges nella parte di Morales (1985)

Il testo di questa canzone riguarda un certo tipo di scuola per attori, la High School of Performing Arts, che, seguendo le orme del critico teatrale Paul Taylor, noi qui assimiliamo in toto al metodh acting, che Lee Strasberg perfezionò da un altro metodo, quello del russo Konstantin Stanislavskij, basato ovviamente sulla immedesimazione, in particolare emotiva, dell’attore con il personaggio. Morales vuole diventare una serissima attrice, per cui entra in questa scuola. Ma in questa scuola il maestro, Mr. Karp, le chiede di fare delle cose strane. Deve far finta di essere dentro un Bob e sentire la neve, di essere un cono gelato e di sentirsi un cono gelato. Ma lei non sente assolutamente nulla a differenza di tutti gli altri colleghi. Questo la mette in crisi, esce dalla scuola e quello che accade è che qualche mese dopo verrà a conoscenza della morte di Mr. Karp e lei, quello che accade, lo racconta o meglio lo canta così:

Six months later I heard that Karp had died.
And I dug right down to the bottom of my soul…
And cried.
‘Cause I felt… nothing.

Nothing (1975) by Marvin Hamlisch, Edward Lawrence Kleban

LE TRE PAROLE PIÙ STRANE

Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba già va nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.

WISŁAWA SZYMBORSKA
Le tre parole più strane
da ATTIMO (2022)
Trad.: Pietro Marchesani
Ed. Adelphi

Il nostro futuro, dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata Mimesi. È stato quello di immedesimarci, in sentimenti ed emozioni, ai quali abbiamo dato la guida delle nostre esistenze. Abbiamo distrutto così il silenzio. Abbiamo creato caos nelle città, dato ai nostri fine settimana, rumori. Quando pronunciamo qualcosa, lo creiamo… e se creiamo partendo dalle emozioni e dai sentimenti, quello che creiamo è niente. Creiamo qualcosa che non entra in alcun nulla.

Per Morales, se il problema non è la non affettività (il non sentire nulla) – dato che quella è una condizione che va accolta e compresa – quello che suscita il pianto in lei, è un doppio giudizio esterno e interno, nella scuola di recitazione, lei non va, non funziona. E nel mondo, che non è recitazione, la messa in scena della morte, non causa in lei nessun sentimento e nessuna emozione. Il doppio giudizio fa sì che entra in lei uno stress, talmente forte da generare il pianto.

Guidati da emozioni, guidati da sentimenti, rinunciamo a comprendere. E anche quando abbiamo il bisogno, la necessità, l’esigenza di comprendere, quella comprensione deve far nascere in noi emozioni e sentimenti. Altrimenti, quella comprensione non ha senso.

Stanislavskij crea il suo metodo, perché l’attore diventava, soprattutto quando faceva tante troppe repliche, una sorta di manichino, marionetta. Semplifico molto… l’attore recita, fa la parte di, non è il personaggio. Ci voleva uno step in più, bisognava diventare quel personaggio. E dando l’anima, dando sé stessi al personaggio… il personaggio diventa reale.

Foglie al vento distrugge tutto questo. Quando lo guardi, non sei di fronte all’actor studio. Non sei di fronte a performance alla Marlon Brando (per l’esattezza Marlon Brando si affidò al metodo Stella Adler studentessa di Stanislavskij). Non capisci. In tante situazioni non sai se ridere, piangere, ti ha tolto il codice. Che linguaggio sta parlando? Sta parlando un linguaggio diverso. Sta straniando, portandoci in una terra straniera dove il codice non lo abbiamo. Ma capiamo che i due si vogliono amare. E l’emozione e il sentimento dove sono? Foglie al vento ci indica un’altra soluzione, che è quella della comprensione che non deve essere ridotta a sentimento o emozione. Comprendi, capisci cosa è realmente l’amore? Perché l’amore non è sentimento e non è emozione. Anche quello, ma soprattutto non quello. È un niente che crea.

Un po’ alla Sartre, ma al contrario. Il definire diventa una qualità e non un insulto. Il non essere diventa essere. E c’è un momento nel film in cui capiamo concettualmente cosa sia l’amore autentico.

Il protagonista beve. Lei quando lo scopre, decide che non è il caso di andare avanti. Il protagonista, per colpa dell’alcol, perde il lavoro. La scrittura è fatta in modo che sia scontato. Per me è volutamente scontato. Lei, dà a lui, il suo numero di telefono su un biglietto, è chiaro che lo perderà. È chiaro che si ritroveranno. È chiaro che il lavoro verrà perso.

Due cose non sono chiare: che finisce sotto un tram e noi non lo vediamo e non capiamo neanche se è il caso di ridere oppure no; non vediamo il tram: il concetto non lo vedi, il sentimento sì. Da lì parte l’accudimento da parte di lei, perché l’accudimento fa parte dell’amore… ma quell’andare incontro al tram fa si che noi possiamo sottolineare quello che è accaduto un attimo prima, quello che l’amore vero fa, quello che l’Amore Vero fa è questo:

Holappa il protagonista getta via nel lavandino l’alcool, in un colpo solo fa fuori la sua dipendenza. Perchè forte come la morte è l’amore vero, anzi di più, l’amore vero spezza la morte.

Irvin Gotta
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