The Fabelmans – Il Segreto di Spielberg

Titolo:Titolo: The Fabelmans
Anno di produzione: 2022
Casa di produzione: Amblin EntertainmentReliance Entertainment
Distribuzione: 01 Distribution
Sceneggiatura: Steven Spielberg, Tony Kushner
Regia: Steven Spielberg

Il cinema può essere molto pericoloso. Può mostrarci realtà crude lontane da noi, come può ‘leggere’ dentro di noi, e mostrare la nostra condizione attuale replicata sullo schermo rendendola palese, evidente a noi stessi, a volta, agli altri.

The Fabelmans, è lo scrigno dentro il quale Spielberg ha posto il suo più profondo segreto: come ‘vedere’ la sua filmografia, il suo cinema e forse il cinema in generale. In questo scrigno troviamo questo segreto assieme a tre oggetti, tre letture della realtà di oggi, viste alla luce del cinema così come il regista ce lo racconta. Letture che chiameremo le tre visioni profetiche di Spielberg. Prima, però, dobbiamo aprire lo scrigno.

Alle volte ciò che vediamo in un film può non piacerci, non perché brutto, ma perché quel qualcosa che vediamo potrebbe interrogarci profondamente.

Se c’è una situazione disallineata, questa produce dolore e al tempo stesso c’è anche un luogo sicuro dove questo dolore può stare per essere sopportabile.

C’è, in sostanza, un destino contro il quale sembra non possiamo fare nulla, un destino che provoca danni. Il danno, a sua volta, è provocato da uno scontro: tra il destino stesso e il tentativo di fermalo. L’uomo Klaus che cerca di fermare il treno viene ucciso dal treno stesso. La donna Mitzi va incontro al tornado proprio come Klaus nel tentativo di fermare il treno. Ma… c’è un ma…

Tra il destino e il tentativo di fermarlo, appare la macchina da presa… capace di fare una cosa: cosa?

Per poter aprire lo scrigno abbiamo bisogno di una chiave e questa Spielberg ce la fornisce subito, all’inizio del film. La chiave è Il più grande spettacolo del mondo (The Greatest Show on Earth) di Cecil B. DeMille, oscar come miglior film nel 1953.

Qui ci dobbiamo fermare un attimo. Nella scena clou c’è lo scontro tra due treni, ma attenzione: su un treno viaggiano la cassa (i soldi) e gli animali; sull’altro treno viaggiano le persone che lavorano nel circo. Da un lato gli istinti primordiali o primari (nobili e meno nobili) dell’uomo assieme al denaro; dall’altra gli esseri umani. Il primo treno viene fermato da Klaus e Harry (un truffatore) allo scopo di rapinarlo, prendere la cassa; una volta rapinato Klaus si accorge che dietro sta arrivando l’altro treno. I due sono in macchina e Harry vuole andare via, Klaus no, perché sul treno in arrivo c’è la donna che possessivamente ama, Angela. Per silenziare Harry, Klaus gli dà una botta in testa e Harry si accascia nel sedile posteriore. Non si vede più ma è lì. Il lato animalesco dell’uomo, quello che viene domato nel circo, ora giace steso mentre Klaus è nell’atto, forse, di amare qualcuno veramente per la prima volta in vita sua; sacrifica, cioè, la sua vita per quella di Angela. Un moto di raziocino appare all’orizzonte. E lo scontro tra gli istinti e la ragione genera morti e feriti. Gli animali scappano e le maschere vengono gettate, infatti, un medico ricercato (James Stewart) sempre truccato da clown per non essere riconosciuto è costretto a rivelare il suo volto; l’arte sembra trovare la sua ragion d’essere nel togliere via le maschere. Torniamo ai due treni.

Prima dello scontro c’è qualcosa che si mette in mezzo, e questo qualcosa è la macchina da presa. In questa particolare inquadratura Klaus non alza le braccia per fermare il treno, le alza in segno di resa. La macchina da presa coglie il momento in cui l’uomo si arrende al suo ultimo destino. La macchina da presa, non noi che vediamo. Le maschere, dicevamo, vengono gettate. Quello che la macchina da presa vede, lo vede per sé stessa, non perché c’è un regista consapevole che la piazza. La macchina da presa vede la resa laddove noi vediamo l’ultimo tentativo di fermare il treno.

Klaus nell’ultimo istante prima di essere travolto

Mitzi, la mamma di Spielberg nella finzione farà la stessa cosa precipitandosi verso il tornado, ma con lei nella macchina non c’è Harry colpito, ma il piccolo Sammy e la sorellina. Non ciò che è più basso e cupo messo a tacere, ma l’infanzia e l’innocenza vivi e vegeti. Il tornado qui non è il treno con le persone sopra, ma quello con gli istinti (soldi e animali), quello del sentire forte che spinse Klaus a rapinare il treno per comprarsi l’amore di Angela. La stessa situazione con parti invertire. Ed anche qui sarà la macchina da presa del giovane Sam, mentre riprende la madre al campeggio, qualche anno dopo, a svelare la resa di Mitzi. Mitzi come Klaus si arrende. Ma di fronte a treni diversi. Il giovane Spielberg nel girare il campeggio, non aveva visto ciò che la macchina da presa aveva visto; come DeMille di fronte alle braccia alzate di Klaus.

Ma non è ancora questo il segreto che lo stesso Spielberg ci svela: è un altro.

Il treno, i trenini hanno una scatola, resi piccoli o resi in immagine sono più tollerabili, ma anche la macchina da presa ha una scatola. Affinché il destino si possa tollerare nella sua irruenza è necessario un luogo sicuro, accogliente, dentro il quale la paura per quello che può succedere sia mitigata. E questo luogo è la scatola. Dove riporre le cose.

Questo è il segreto di Spielberg, la scatola dei trenini e la scatola della cinepresa coincidono. Per questo la cinepresa può vedere il destino che noi non vediamo.

Quando Mitzi va verso il tornado a un certo punto si ferma e davanti a lei passano dei carrelli del supermercato, carrello in inglese è: cart, trolley, dolly, termini che ricordano la carrellata cinematografica; viene evocata, la presenza della macchina da presa, lì in quel preciso momento, in quel preciso istante, tra lei e il destino; Mitzi si è fermata, non combatte, si è arresa come Klaus, sacrifica se per il resto, ma mentre Klaus si convince del proprio sacrificio, Mitzi no. E torna nella scatola sicura della propria famiglia: il marito, quello che ‘uccide’ con la sua gentilezza. Il punto è che il tornado rimane vivo. Non c’è ancora lo scontro. È l’orizzonte a metà.

Dobbiamo guardare l’orizzonte, ci dice Jhon Ford nella penultima scena, se l’orizzonte è alto, se cioè il destino vince rispetto a noi il racconto è interessante; se l’orizzonte è basso: se cioè il destino lo teniamo ben fermo sotto i nostri piedi, il racconto è interessante. Ma se il destino coincide con la sua stessa scatola (di nuovo, vedere il marito di Mitzi) con la sua stessa protezione e rassicurazione allora il racconto è una schifezza. Più in generale la vita sembrerebbe essere una schifezza. Questa rassicurazione è per esempio la tasca del grembiule nella quale Mitzi tiene il filmato fatto da Sam, quello dei trenini che si scontrano, questa tasca dà la protezione necessaria, ma è anche l’estremo tentativo di soffocare il destino, procrastinarlo.

Lo ripetiamo: la verità dolorosa del destino può essere colta solo dalla macchina da presa. Entrambi si trovano dentro una scatola: i trenini e la Bolex H8 Reflex.  La macchina da presa e il destino cioè sono all’interno della stessa condizione: per questo si possono vedere l’una con l’altro. È la macchina da presa che coglie il tornado che c’è dentro Mitzi e la sua famiglia, (la macchina non il regista dietro la macchina). Questo concetto verrà ripreso nel dialogo con Logan alla fine del ballo studentesco. La macchina, non il regista ha colto che in fondo Logan nasconde una bontà che occorreva solo far venire a galla. Di nuovo, la sorte di Logan è stata letta dalla macchina da presa.

Il destino è avere sì la casa buia quando le altre sono illuminate, ma anche il contrario: avere la propria casa illuminata quando le altre sono buie.

E adesso che abbiamo svelato il segreto, veniamo alle tre strutture profetiche; che visione del mondo deriva da quanto abbiamo detto se puntiamo la macchia da presa non verso un singolo, ma verso il mondo intero?

La prima struttura:

abbiamo vissuto 5000 anni senza cristianesimo, direi che potremo farne ancora a meno: questa è la risposta di Sammy parafrasata alla ragazza cristiana; molto più avanti, (Mitzi e Benny ora stanno insieme) il padre di Sammy dice con riferimento alla storia della loro famiglia, dice a Sammy:

la storia è andata troppo avanti perché questa sia la fine.

Unendole, come fossero un’unica battuta, abbiamo esattamente la situazione mondiale attuale.

Ancora non è finita, la seconda struttura: il va dove ti porta il cuore 4.0… siamo in cucina e Mitzi parla con Sammy, la scena inizia più o meno al minuto 127 la battuta è questa:

Sam fa quello che il cuore ti dice di fare, perché la tua vita non la devi a nessuno nemmeno a me.

Diceva Al Pacino ne “L’avvocato del diavolo”, arriverà il giorno in cui ognuno sarà il dio di sé stesso.

‘…finché ogni essere umano diventa
un aspirante imperatore, il suo proprio dio…’

John Milton

La sottolineatura a tutto ciò forse la troviamo in quanto scritto da Sabatini nel suo libro su Nietzsche:

“Zarathustra: «L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo,
un cavo al di sopra di un abisso». La follia è la caduta nell’abisso
che trascina con sé il superuomo per far emergere la bestia che è
nell’uomo.”

A.G. Sabatini, Nietzsche – L’umana storia di un superuomo, Newton & Compton, Roma 1995, cap. I

Pensiamo alla metafora della follia descritta nel film.

E poi, la terza, il tocco di genio a livello di scrittura: nella scena che precede l’incontro con Ford, Sammy e il padre sono nel loro appartamento, il padre dice al figlio: non sarà mai possibile che non ci riconosceremo… e qui la battuta è strepitosa… la scatola, l’involucro rassicurante, dice alla cinepresa, non accadrà mai che l’arte cinematografica non riconoscerà il destino dell’uomo. E la risposta di Sam è: ne sei sicuro? Infatti, se la scatola si rompe definitivamente niente e nessuno potrà fermare il tornado. E siamo al punto di partenza del film e allo stesso tempo nell’oggi contemporaneo, in cui il treno di DeMille non si è ancora accorto di Klaus. La domanda è: si fermerà in tempo?

Da ultimo, assolutamente geniale i dialoghi del pranzo dove è presente la fidanzata di Sammy (siamo circa al minuto 102) probabilmente in questa scena c’è tutta la capacità teatrale di  Tony Kushner, andrebbe studiata beat per beat; così’ come di elevata fattura il dialogo, i movimenti degli attori  e di macchina nella scena tra Logan e Sammy dopo il ballo. Di negativo c’è da sottolineare la struttura narrativa decisamente troppo debole.


Irvin Gotta
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